• Il Silenzio nei tuoi piedi

    Inviato da Mistressplanet  su 21/08/2025 22:55

    CAPITOLO 1 – “Sotto i tuoi piedi”

    Valeria era una leggenda nella sua palestra. Non solo per i suoi 1,82 per 80 chili di muscoli scolpiti, per le braccia come colonne, la 4^di seno prosperosa sotto i pettorali duri come il marmo o gli addominali di granito. Era l’aura che si portava addosso: chi entrava nella sala pesi la guardava di sfuggita, per istinto. Per rispetto.
    Con gli uomini si divertiva, con le donne comandava. Godeva nel trattare male tutti, perchè in fondo nessuno era alla sua altezza, capace di eguagliare la possenza fisica. Le persone erano il suo giocattolo, lei che di giocattoli non ne aveva mai avuti. Sempre lei a scegliere: il ritmo, le regole, i confini.

    Ma dietro quella forza c’era altro. La figlia di un padre assente e una madre inflessibile, Valeria aveva imparato a non cedere. Mai. A proteggersi dentro il dominio. L’amore, per lei, era un gioco a perdere.

    Poi arrivò Giulia.

    Ventidue anni, studentessa di filosofia. Una mora dagli occhi chiari, di una bellezza calma, quasi trasparente. L’aveva notata in biblioteca, seduta per terra tra gli scaffali, le gambe piegate, un manuale di anatomia aperto sulle ginocchia. Valeria si era avvicinata quasi per scherzo.

    «Stai cercando il punto debole del corpo umano?»
    Giulia alzò appena lo sguardo. Un sorriso appena accennato.
    «No. Solo quello che lo rivela tutto.»

    Quella frase le restò addosso per giorni.

    Cominciarono a vedersi. Un caffè, una passeggiata, una cena. Ma Giulia non era come le altre. Non si lasciava mai guidare davvero. Parlava con calma, con un tono che pareva fragile ma non lo era: ogni parola era un colpo preciso. E Valeria, che era abituata a possedere, si ritrovava a desiderare l’approvazione.

    Fu una sera, quasi per caso. O almeno così sembrò.

    Erano a casa di Valeria. Giulia si tolse lentamente i sandali. I suoi piedi nudi toccarono il pavimento, e Valeria — che era seduta sul divano — li vide per la prima volta da vicino.
    Erano piccoli ma dalle piante larghe, forti ma aggraziati. La pelle era chiara, candida come porcellana non toccata dal sole, liscia, senza imperfezioni. Le dita affusolate, dalle unghie corte e smaltate di rosso scuro, si muovevano con grazia naturale. I talloni, leggermente rosati, sembravano morbidi come velluto.

    Giulia si sedette accanto a lei. Poi, con naturalezza, sollevò i piedi e li poggiò sulle sue cosce.

    Valeria rimase immobile. Colta di sorpresa.
    Il cuore accelerò senza motivo apparente.

    «Ti dà fastidio?» chiese Giulia, la voce calma, ma con un accenno di sfida.
    Valeria scosse la testa.
    «No… solo non me l’aspettavo.»

    Giulia sorrise.
    «Io sì.»

    Un silenzio colmo di tensione. Poi Giulia piegò leggermente un piede, sfiorando con l’arco plantare l’interno coscia di Valeria.
    «Allora…?»
    Valeria deglutì. Guardava quei piedi come fossero un enigma sacro.
    «Sono belli,» sussurrò.

    Giulia inclinò la testa.
    «Vuoi toccarli?»

    Le dita di Valeria — mani abituate alla fatica, alla presa — si posarono con rispetto sulle piante larghe e levigate. Erano tiepide, delicate, ma con una forza silenziosa. Ogni curva dell’arco, ogni incavo, sembrava fatto apposta per essere adorato. Il suo pollice scivolò lentamente lungo il bordo esterno, come se stesse esplorando un confine. Il confine del proprio ruolo.

    Giulia lo sentì.
    Lo vide succedere, dentro gli occhi di lei.

    «Lo sapevo fin dal primo giorno,» sussurrò. «Appena ti ho vista… ho capito che volevi questo. Essere messa a terra. Sotto qualcosa di più leggero di te. Sotto me.»

    Da lì, tutto cambiò.

    Col tempo, Giulia rese chiaro il patto non detto. Valeria cominciò a obbedire. A scegliere abiti su suggerimento. Ristoranti. Parole. Ritmi. E ogni sera, tornava lì: davanti a quei piedi che l’avevano rovesciata.

    Ogni giorno, Valeria la attendeva. Nuda, inginocchiata, le spalle tese, gli occhi fissi sulla porta. Quando Giulia entrava, si sedeva sul divano, sollevava i piedi e diceva piano:
    «Bacia.»

    Il sesso era magnifico, feroce, totale. Ma ciò che spezzava davvero Valeria era la voce morbida e crudele di Giulia mentre le accarezzava i capelli:
    «Guarda dove sei. La leonessa domata. Il tuo posto è lì. Sotto i miei piedi larghi e delicati. Le tue labbra, sul mio tallone. Il tuo cuore… dentro la mia pianta. Eppure… sei felice, vero?”»

    Valeria non rispondeva. Non serviva. Ogni bacio, ogni tremito della lingua, era già una confessione.

    Valeria non rispondeva. Non serviva. Il bacio sul tallone, il tremito mentre le leccava l’arco plantare, erano già una preghiera, una confessione. Una resa. Un’identità: Io non sono più mia. Sono tua.

    Mistressplanet rispose 2 settimane, 4 giorni fa 1 Membro · 3 Risposte
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  • Mistressplanet

    Amministratore
    21/08/2025 22:56

    CAPITOLO 2

    La sera era scesa lenta, come una promessa mantenuta. Valeria tornò distrutta dalla palestra, ma non per questo meno attenta: aveva pulito il pavimento in ginocchio, strofinando con le mani nude. Aveva posato il cuscino dove Giulia lo voleva: al centro, davanti al divano. Aveva acceso l’incenso, lo stesso aroma leggero e floreale che lei amava. La casa era muta, eppure vibrava di tensione. Ogni cosa diceva: sta per arrivare.

    Alle 21:04 la porta si aprì. Senza bussare. Come sempre.

    Giulia entrò.

    Indossava una semplice felpa grigia, larga. Jeans morbidi, sfilacciati sul fondo. Ai piedi, sandali piatti, da cui uscivano con naturalezza quelle estremità che per Valeria erano ormai simboli sacri: i piedi di Giulia, nudi, esposti, larghi e candidi, con dita lunghe e dritte, le unghie corte, smaltate di bordeaux. Le piante, lievemente callose sul bordo esterno ma ancora morbide al centro, si muovevano con autorità silenziosa.

    Valeria abbassò lo sguardo. Subito. Senza pensare. Era il corpo stesso a reagire.

    Non era più l’alfa. Non con lei.

    Giulia si sedette lentamente. Poi sollevò un piede, lo liberò dal sandalo con un gesto svogliato, lasciandolo cadere sul cuscino. Non parlava ancora, ma ogni secondo era pieno di intenzione.

    Finalmente:
    «Ti sei inginocchiata bene?»

    Valeria si posizionò. Maestosa nei muscoli, sì. Eppure… piccola. La voce le uscì bassa, roca.
    «Sì… Dea.»

    Quel titolo non era un gioco. Non era un soprannome. Era un giuramento. E anche se Giulia non glielo aveva mai chiesto… sapeva da sempre che ci sarebbero arrivate. Lei sapeva tutto.

    «Baciami il tallone.»

    Valeria si avvicinò, le labbra tremanti, le mani sulle ginocchia, mentre con una lentezza religiosa sfiorava con la bocca la parte più bassa e dura del piede di Giulia. Quel tallone tonico, un po’ ruvido sotto l’epidermide perfetta, portava tracce della giornata. Un odore lieve ma caldo, umano.
    E Valeria lo desiderava come si desidera il pane quando si è digiuni da giorni.

    Prese tra le mani quel piede. Lo sollevò di poco. Le labbra scivolarono lungo la curva dell’arco, poi si aprirono sulle dita, che le sfiorarono la lingua con noncuranza.

    «Fammi godere con i miei piedi, senza fretta. Mostrami quanto mi veneri.»

    Ogni dito venne accolto, adorato. Valeria leccava l’incavo tra l’alluce e il secondo, inspirava piano dal basso, inebriata da quella pelle fragile e larga, baciava con piccoli sospiri il centro della pianta, che ormai conosceva a memoria. La parte che preferiva era l’interno dell’arco: morbido, tiepido, elastico. Quella zona le dava un senso di pace e umiliazione insieme. Un luogo dove annullarsi e appartenere.

    Giulia parlava con voce tranquilla, divertita:
    «Sai, ti guardano tutte in palestra come una statua. Un idolo. Non sanno che io la statua la uso per pulirmi i piedi.»

    Valeria ansimava. Il desiderio le annebbiava la mente. Il corpo le pulsava. Ma restava ferma. In ginocchio. Serviva.

    «Ti sei allenata oggi?»
    «Sì, Dea.»
    «Quante ripetizioni di squat?»
    «Cinque serie da dodici…»
    «E ogni volta che scendevi… a chi pensavi?»
    «A te. Ai tuoi piedi. Alla tua voce. Ai tuoi ordini.»

    Giulia sorrise, senza nasconderlo.
    «Hai imparato. Trasformi ogni contrazione… in adorazione. Ogni goccia di sudore… in un’offerta.»

    Poi si alzò in piedi, lentamente, e tirò fuori dalla tasca della felpa un nastro di seta nera. Lo srotolò, con calma chirurgica.

    «A terra. A pancia in giù. Voglio camminarti addosso.»

    Valeria obbedì. Subito. Il suo petto toccò il tappeto. Il viso di lato. Le mani lungo i fianchi.

    Il primo piede nudo di Giulia si posò tra le scapole. Leggero. Ma era come una firma. Un marchio a fuoco. Poi il secondo. Passo dopo passo, Giulia la attraversava, lentamente. Il suo peso era minimo, ma ogni centimetro percorso era una parola non detta, una consacrazione fisica.

    «Ti ho trasformata,» mormorò, salendo lungo la schiena.
    «E sai qual è la cosa più vera, Vale? Che tu non stai cedendo. Tu… sei rinata. Stai fiorendo. Solo ora sei vera.»

    Poi si sedette sopra di lei. I piedi le premevano le scapole. Le dita accarezzavano piano la pelle sotto.

    «E adesso… confessa. Chi sei?»

    Valeria, con la bocca premuta contro il tappeto, rispose con un soffio:
    «Una cosa… ai tuoi piedi. Il tuo tappeto. La tua adoratrice. La tua Valeria.»

    Silenzio.
    Poi:
    «Non mia Valeria. Non più. Solo ‘mia’. Il tuo nome non ti serve più, bestia mia.»

    E Valeria… tremò. Di gioia.

    Quella notte si perse.

    Tra i graffi lievi delle unghie corte di Giulia.
    Tra i piedi poggiati in viso, e poi offerti come coppa d’acqua santa.
    Tra frasi mormorate e respiri spezzati.
    Tra orgasmi negati e silenzi imposti.

    Alla fine, Giulia si accoccolò sul divano, le gambe rilassate, i piedi allungati su Valeria, che giaceva lì, nuda, sudata, col viso poggiato sulle piante larghe e vellutate della sua Dea.

    «Sai qual è la cosa più divertente?» disse piano.
    «Che io non ho mai dovuto chiederti niente. Tu sei venuta da me. Mi hai cercata. Mi hai adorata. E io ti ho solo lasciata… diventare.»

    Valeria non rispose. Non serviva.

    Un bacio sull’alluce. Un sospiro. Un’altra preghiera.

  • Mistressplanet

    Amministratore
    21/08/2025 22:58

    CAPITOLO 3

    Il pomeriggio avanzava lento. Le pareti della casa, avvolte in una luce morbida e opaca, sembravano più strette del solito. Il silenzio non era pace, era minaccia.

    Valeria sedeva al tavolo della cucina, rigida.
    Indossava una canotta grigia, che si tendeva sui suoi pettorali scolpiti. Le vene spiccavano sulle braccia come serpenti d’acciaio, il trapezio alto, la mascella serrata. Si era appena allenata. Le gocce di sudore asciugato le incorniciavano le tempie come cicatrici.

    Sembrava lei. Quella di prima. Ma dentro, era tempesta.

    Giulia entrò in silenzio. Non disse nulla. A piedi nudi. Una t-shirt bianca, pantaloni larghi in lino. I piedi ampi, pallidi, la pelle chiara e leggermente arrossata dal camminare scalza tutto il giorno, piantarono su quel parquet un segno invisibile ma definitivo.

    Valeria non si voltò.

    Giulia la guardò per lunghi secondi. Poi:
    «Ti sei svegliata militare oggi?»
    Tono tagliente. Quasi divertito.

    Valeria strinse i pugni. Non rispose.

    «Hai rimesso su il mantello della leonessa, Vale? Ti piace? Ti sta stretto, ormai.»

    Finalmente Valeria si alzò. La sedia fece un suono secco, violento. I muscoli delle gambe si contrassero, netti, poderosi. Si voltò verso Giulia, lo sguardo duro.
    «Non voglio più stare sotto. Non sono tua. Tu mi stai… distruggendo.»

    Giulia non si mosse. Lentamente portò il piede sinistro sopra la sedia più vicina e piegò la gamba, lasciando il piede nudo in evidenza.
    «Dimostralo.»

    Valeria sgranò gli occhi.
    «Cosa?»

    «Dimostra che sei ancora tua. Guardalo. E dimmi che non lo vuoi. Dimmi che non lo sogni. Dimmi che non vorresti… inginocchiarti e adorarlo fino a sparire.»
    Valeria fece due passi indietro, quasi spaventata.
    «Io non sono una schiava!»

    Allora Giulia si mosse. Finalmente.
    Con un gesto secco, la afferrò per la canotta e la spinse contro il muro. Non con forza brutale — Giulia era più piccola — ma con autorità totale. La pressione era psicologica più che fisica. Eppure Valeria si bloccò.

    «No. Non sei una schiava. Sei molto di più. Sei una donna che implora ogni sera, con gli occhi. Che geme baciando la mia pianta sudata. Che si sveglia bagnata, perché in sogno le metto le dita in bocca. E tu le succhi come se ti servissero per respirare.»

    Valeria provò a girarsi. A scappare.

    Ma Giulia agì d’istinto.
    Con uno scatto veloce, si abbassò e colpì la parte posteriore del ginocchio sinistro di Valeria col dorso del piede. La presa alla sprovvista.
    Valeria crollò a terra, il corpo poderoso piegato in ginocchio come una statua sbilanciata.

    Giulia le salì addosso con un ginocchio, le sedette quasi sul petto, le mani ferme sulle spalle. La dominava con calma glaciale.

    «Guarda dove sei, Vale. In basso. Con il cuore che batte. Vuoi sollevarti? Fallo. Usami. Come si fa con un peso. Ma non ce la fai, eh?»

    Valeria tentò una spinta. I tricipiti si contrassero.
    Il fiato uscì. Non riusciva a sollevarla. Non perché Giulia fosse pesante, ma perché qualcosa dentro la frenava.
    Una fame. Un bisogno.

    Giulia si sollevò. Le tolse lentamente la canotta, lasciandola nuda sopra il parquet. Poi la calpestò.

    Un piede sull’addome, poi sull’incavo tra i seni. Con lentezza.
    Valeria gemette, non riuscendo ad ammettere che da tutta quella situazione ne usciva terrorizzata, ma anche piegata ed eccitata con mai nessuno aveva saputo fare con lei. Quella semplice ragazza era riuscita a penetrare la sua mente, scopando il suo cervello come mai nessun uomo era riuscito a entrare in lei.

    «Sì, tu puoi spezzarmi le braccia, se vuoi. Ma non lo vuoi più. Perché ti piace stare ferma. Ti piace questa nuova lingua. La lingua del tallone. Del disprezzo sacro, del silenzio scandito dai miei piedi.»

    Prese la felpa di Valeria, arrotolata lì vicino, e la usò come poggiapiedi.
    Vi salì sopra con un piede solo, in equilibrio. L’altro restava sul petto di Valeria, che ansimava sotto di lei.

    «I tuoi muscoli sono diventati il mio tappeto. Non è strano?»

    Le immobilizzò il polso e la spinse ancor di più contro il pavimento freddo. Poi si abbassò, lentamente, senza staccarle lo sguardo, e fece scivolare il piede lungo la gamba di Valeria. Dal polpaccio salì fino all’interno coscia. La pelle nuda sfiorava i quadricipiti tesi, gli addominali scolpiti.

    Il piede era caldo. Morbido. E reale.
    L’odore era salmastro, dolce, vissuto. Un misto di pelle, tessuto, vita.

    Valeria chiuse gli occhi, piangendo. Le labbra tremarono.
    «No…» sussurrò. Ma il respiro le si spezzava.
    «Io… posso dire di no…..??»

    Giulia non rispose. Le infilò un piede tra le cosce. Premette piano sul suo clitoride, facendo poi scivolare l’alluce lungo le grandi labbra, senza entrare del tutto in lei. A quel punto Valeria era a terra; smise di colpo di piangere ed emise un gemito soffocato dal dolore ed eccitazione provocato da quel contatto, così delicato ma così forte all’interno della sua anima. Avvertiva delle scosse elettriche pervaderle ogni centimetro del suo corpo scolpito nella roccia, quasi come se la roccia adesso si fosse totalmente sgretolata e si stesse liquefacendo perdendone il controllo.
    Poi Giulia si allontanò, lasciando Valeria per un attimo sola, libera, ma interdetta.

    Camminò lentamente fino al tavolo. Prese una sneaker dal pavimento. La sollevò e la rovesciò sul piano, lasciando cadere una piccola linguetta di cuoio usata, la soletta consumata.

    La posò.
    «Baciala. Se lo fai, resti. Se no, me ne vado. Davvero.»

    Valeria la fissò.
    Aveva il cuore in gola. Ogni fibra diceva: non farlo. Ogni muscolo urlava: resta fiera.
    Ma la gola si strinse. La mascella si rilassò. Le aveva sbloccato il controllo di un piacere intenso, antico, viscerale. Il suo distacco era stata una pugnalata, come se quel contatto le avesse in breve tempo creato un circuito di dipendenza.

    Si avvicinò. Le dita tremavano. Avvicinò il capo, lentamente.

    Le labbra si posarono sulla soletta. Poi la lingua. Una leccata lunga. Sapida. Bruciante.
    La sua mente cedette: non pensò più a nulla, non pensò a piangere, nè a scappare. Non volle pensare a ciò che comportava tutto se avesse visto la scena dall’alto, come se non fosse lei quella che era a terra a baciare le scarpe di quella ragazzina indisponente.

    In quel momento Giulia si avvicinò e la sfiorò con il piede sul mento.
    «Non sei più una guerriera. Sei la mia prova vivente che il corpo più forte si piega… se incontra la giusta Dea.»

    Quando Valeria alzò lo sguardo, vide Giulia con in mano un laccio da scarpa. Lo arrotolava tra le dita, lentamente.

    «Sai cosa farò stanotte?», disse.
    «Ti legherò i polsi dietro la schiena. Userò questo. Solo un laccio. Basterà. Tu che potresti spezzare acciaio con le cosce.
    Ma non spezzerai questo. Perché non vuoi più essere libera.»

    Valeria deglutì.

    «Anzi… siediti a terra. Schiena dritta. Gambe larghe. E apri la bocca.»
    La voce era neutra, quasi gentile.

    Valeria esitò.

    Giulia si avvicinò e le infilò lentamente le dita in bocca, una alla volta. Erano calde, con un sottile sapore di pelle vissuta.

    «Succhiale. Fai qualcosa. Mostrami che sei ancora lì, dentro.»
    Valeria iniziò a succhiare. Piano. Poi più forte. Un ritmo regolare. Le guance si incavavano.
    Giulia le afferrò la mascella con la mano libera.

    «Vedi? La tua lingua è l’unica parte ancora viva. Il resto è già mio. Ed è bellissimo così.»

    Quella notte, Valeria cercò ancora di fuggire.
    Scrisse un messaggio: “Non posso più fare questo. Non è sano. Vado via.”

    Non lo inviò.

    Uscì dalla stanza. Trovò Giulia seduta sul letto, con i piedi incrociati sopra un cuscino, la testa appoggiata al palmo.
    «Scrivilo, Vale. Mandalo. Io non ti fermerò. Ma poi resterai da sola. Con i tuoi trofei. Con le tue vene. Con il tuo specchio.»

    Giulia sollevò un piede.
    Lo tese verso Valeria.
    Il tallone ben visibile. Le dita rilassate, leggermente divaricate.

    «Oppure annusa. E scegli.»

    Valeria rimase ferma.
    Poi si inginocchiò. Si chinò piano. Inspirò. L’odore era di pelle viva, di cammino, di calore e polvere. Il suo cuore si aprì.

    Un bacio sul piede. Poi un altro. Poi leccò l’arco, con un gemito strozzato.
    Come se ogni colpo di lingua fosse una confessione.

    Giulia le accarezzò i capelli.
    «Non sei debole. Sei completa. Sei… diventata reale.»

    Quella notte, Valeria dormì ai piedi del letto, nuda, con il foulard al collo, mentre Giulia leggeva Nietzsche ad alta voce. Le appoggiò i piedi sul petto come se fossero due sigilli.
    «Conta.»
    Valeria sussultò.
    «Cosa…?»
    «Le spinte. Conta ogni volta che premo.»

    E cominciò a premere, lentamente, prima col destro, poi col sinistro. Ogni affondo era una preghiera rovesciata.
    «Uno… due… tre…»
    La voce di Valeria era spezzata. Le gambe tese. Gli occhi lucidi.

    Dopo il numero dieci, si fermò.
    Giulia si sdraiò, coprendosi con il lenzuolo.
    «Domani potrai ancora allenarti, Vale. Ma ti servirà a una cosa sola: rendere più confortevole il mio passo su di te.»

    E quando la luce si spense, una voce tenue si udì:
    «Domani puoi riprovare a scappare. Ma io sarò sempre un passo avanti. E tu… un passo dietro. Dove sei più bella.»

  • Mistressplanet

    Amministratore
    22/08/2025 22:57

    CAPITOLO 4

    La mattina si insinuò tra le tende con una luce dorata, ma per Valeria il vero risveglio non fu la luce — fu sentire il piede di Giulia che premeva, lento e sicuro, contro il suo petto. Aveva impiegato anni, tempo e fatica per forgiare il suo corpo: alta 1,82, fisico snello, tonico e definito, una 4^di seno (aiutata da un generoso aiuto di una delle più prestigiose cliniche europee di chirurgia estetica). Schiere di uomini e donne erano in fila pronti a sbavare per lei; eppure, ora e adesso, il suo corpo serviva soltanto ad abbracciare la volontà di quella ragazzetta impertinente. Valeria lo sapeva, glielo aveva concesso, e Giulia… ci sguazzava da matti. Il foulard al collo, ancora annodato dalla sera prima, le sfiorava la pelle ogni volta che respirava. Avrebbe voluto chinarsi, baciarle le dita, sentire il profumo leggermente dolce della sua pelle appena scaldata dal sonno; ma aveva timore di svegliarla, di darle fastidio. O forse, molto semplicemente, in un moto di folle irrazionalità, avrebbe voluto ricevere l’ordine da Giulia, prima ancora di prendere l’iniziativa da sola.
    In quel momento Giulia si mosse. Stiracchiò le braccia, allungò le gambe e ritirò il piede, ma non prima di sfiorarle le labbra con il bordo della pianta. Un tocco breve, sufficiente a farle vibrare lo stomaco.
    «Vorrei vederti seduta per terra Vale, ogni mattina in cui siamo insieme» disse sorridendo, con quel tono leggero e una risatina che nascondeva un ordine a cui non ci si poteva sottrarre.
    Valeria obbedì subito, quasi temendo di perdere anche quel contatto minimo.
    Seduta sul bordo del letto, Giulia lasciò che il tallone destro si posasse prima sulla caviglia di Valeria, per poi risalire e scorrere su pian piano, arrivando al suo collo e posarsi sui muscoli della spalla.
    «Colazione fuori oggi. Così puoi guardarmi anche in pubblico. Ma niente scenate, eh… Ti va?».
    “Guarda un pò questa piccola smorfiosa, sono inginocchiata ai piedi del suo letto, ho praticamente dormito ai suoi piedi e mi chiede anche se mi va” fu il pensiero che balenò nella mente di Valeria, poco prima di accennare un “si” distratto, un breve cenno di assenso per poi mettere in tensione il suo corpo per alzarsi.
    Ma c’era qualcosa che non andava: la pressione del tallone sulla spalla non accennava a diminuire, anzi ne aumentava il peso. Valeria si chiese cosa non andasse e vedendo lo sguardo fulmineo di Giulia, rimase in tensione, senza muovere un muscolo: chiedendosi come facesse a sembrare così bella e terrificante al tempo stesso, crebbe in lei la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.
    «Riproviamo mia cara, vediamo se così va meglio. TI VA??» chiese Giulia, aumentando il sorriso sulle labbra e la pressione del piede.
    «Si mi va». Evidente però, anche questa risposta non piacque. La reazione non tardò ad arrivare: l’altro piede, fino a quel momento penzolante fuori dal letto, si levò alto sopra la testa di Valeria, posandosi sui suoi capelli. Valeria a quel punto non sapeva cosa rispondere, si irrigidì, e questo Giulia lo notò: poco prima di emettere un lieve gemito, fece scendere in giù quel piede, adagiando la pianta sulla faccia, tappandole quasi naso e labbra.
    «…Ho chiesto se a te va quello che ti ho chiesto, Valeria, mentre sei inginocchiata ai miei piedi. Mi sembra educato se tu, ora, rispondessi a tono. Rilassati, percepisco il disagio dal tuo corpo: sei così definita che basta uno sguardo per vedere quanto tu sia rigida in questo momento. Per di più io e te abbiamo una connessione speciale, che mi permette di entrare nella mente e leggerti dentro. Non essere a disagio, non devi. Ora devi imparare, e devi capirlo da sola. Perciò te lo richiedo, Valeria: T-I V-A?» disse, fino a quel momento senza staccare la pianta del suo piede dalla faccia di Valeria ma anzi, aumentandone la pressione sulle labbra con le dita. Valeria, sentendo le parole rassicuranti di Giulia si rilassò; i muscoli quasi cedettero sotto la pressione che quelle esili gambe esercitavano su di lei, abbassò leggermente il capo e….l’unica cosa che le venne spontaneo fare fu di baciare quel piede che premeva sul suo corpo. Fu un bacio breve, ma lento, spontaneo, ma “guidato”, quasi desiderato anche se paradossalmente non immaginava di cominciare la mattinata in quel modo. E la cosa bella? Le piaceva. Adorava essere li, esattamente li e in quel momento preciso, proprio ascoltando ciò che Giulia, in un modo strano e perverso, le aveva appena detto. Adorava essere lì, ad adorare Giulia, pendendo dalle sue labbra inginocchiata ai suoi piedi.
    E a quel punto, dopo quel breve bacio ai suoi piedi, Giulia si alzò dal letto, lasciando Valeria immobile, quasi stordita. Si avvicinò al suo corpo muscoloso, lo sguardo penetrante su di lei; Valeria poteva sentirne il profumo, la pressione, la tensione.
    «Bene così. Impara da quanto accaduto questa mattina, perchè vorrei che rispondessi sempre in questa maniera quando decido di farti una domanda: non mi servono le parole, so già cosa vuoi trasmettermi. Mi servi.. che sia TU, Valeria». Disse Giulia, alzandosi definitamente e procedendo verso la cucina.
    Valeria, che fino a quel momento era rimasta immobile ad ammirare quella splendida creatura che aveva davanti, non potè fare altro che accasciarsi con lo sguardo rivolto a terra contro il pavimento freddo, in una risata mista a pianto liberatorio, felice come non mai. Per la prima volta nella vita era riuscita a esprimere ciò che aveva dentro, senza necessità di parole futili e superflue: per la prima volta era stata lei, felice, eccitata, elettrizzata, senza doversi giustificare per qualcosa o qualcuno. E si sentiva viva, come mai lo era stata.
    In cucina, Giulia camminava scalza, i passi morbidi e silenziosi. Per Valeria era una dolce tortura: ogni passo lasciava un’impronta invisibile sul parquet, e lei voleva solo seguirle le orme, inginocchiarsi come prima davanti al suo letto; era così tanto presa da quel passo che avrebbe persino passato le labbra volentieri lì dove la pelle aveva toccato, leccandone i residui e assaporandone i profumi inebrianti.
    Giulia si sedette senza guardare nulla. «Caffè leggero per me. E non farlo bollente… lo voglio pronto subito.»
    Mentre la moka iniziava a borbottare, Valeria si chinò a prendere lo zucchero da un cassetto e il profumo di pelle nuda e sapone le arrivò netto: Giulia aveva allungato le gambe, posando un piede sulla sedia accanto. Il suo sguardo era calmo, ma c’era un lampo ironico.
    «Daii Vale, concentrata. Non puoi già distrarti così.» disse ridendo.
    Portando le tazze al tavolo, Valeria abbassò lo sguardo sui piedi di Giulia. Le dita si muovevano appena, come a richiamarla. Sapeva che non poteva, ma il desiderio di chinarsi e stringere quel piede tra le mani le dava quasi vertigini.
    Uscirono. In auto, Giulia si tolse subito un sandalo, poggiando il piede nudo sul cruscotto. L’unghia dell’alluce era perfetta, smaltata di un rosso lucido che faceva brillare la pelle chiara.
    «Guida, Vale. E non far finta di non guardare». Le due donne accennarono un sorriso di intesa che sottintendeva tutto. Ormai era palese l’interesse che entrambe mostravano l’una per l’altra, e Giulia non ci mise troppo a renderlo ancor più manifesto: con un gesto che a prima vista poteva apparire casuale sollevò la mano per accarezzare il braccio muscoloso di Valeria; fece scorrere l’indice lungo la clavicola, scese lungo la linea ben definita dei pettorali, facilitata dalla pelle liscia e sudata di Valeria che ad ogni cambio di direzione del dito emetteva un sospiro e aumentava la sudorazione ed il battito cardiaco. Ma questa volta Giulia volle osare, spingendosi oltre. In un attimo scese nell’interno coscia mentre non smetteva di distogliere il suo sguardo sorridente dagli occhi di Valeria, che appariva quasi in trance pur sforzandosi di guidare con prudenza; quel gesto, quei movimenti, quel tocco le provocarono una potente scossa elettrica dal clitoride lungo tutto il corpo, che quasi la fecero spezzare piegandola in due su stessa e costringendola a fermarsi.
    La scena era semplice, tremendamente perversa, dolce. Valeria aveva accostato in doppia fila lungo una strada fortunatamente deserta della città; era piegata in due, in evidente stato di affanno, madida di sudore e fradicia lungo l’interno coscia, con i suoi umori che colavano lungo le gambe, il sedile e i polpacci.
    Al contrario Giulia appariva perfettamente a suo agio in quella situazione, sorrideva e sembrava bearsi godendosi l’effetto che i suoi pochi gesti avevano provocato.
    «Ti piace così, vero?» chiese.
    «…Si…» disse Valeria col sorriso stampato sul volto, rialzando lo sguardo che fino a quell’istante era poggiato sul volante dell’auto.
    SBAAM. La donna si vide arriva un ceffone in pieno volto, ben assestato, dato con un movimento rapido e preciso del piede di Giulia.
    «Ti piace? Concentrati.»
    Questa volta Valeria capì subito come doveva rispondere: un bacio rapido, carico e denso, sulle piante morbide e vellutate. Cercò poi lo sguardo dell’amica, che la guardò sorridendo ancor più di prima, le diede un bacio sulla guancia e disse «Sei stata brava. Lo so che puoi farcela Vale.. Ti dico di più: meriti un premio per l’impegno che stai mostrando. Chiedimi quello che so che vuoi chiedermi, e ADESSO fallo con le parole».
    Valeria esitò, sgranò gli occhi in un mix di incredulità e di dubbio, sperando che stesse accadendo ciò che sperava, ma avendo timore di sbagliare o di aver interpretato male le parole taglienti di Giulia.
    «Dalla tua reazione di poco fa non si direbbe che non vuoi chiedermi niente, e so che cosa significa “portare al limite” una persona: lo sto facendo con la tua mente, ma meriti di decomprimere.. Attenta però, impara a cogliere l’attimo, potresti pentirti dei momenti che perdi».
    Valeria, che a quel punto aveva il cuore in gola dall’eccitazione, guardò ancora una volta con sguardo interrogativo Giulia. Con il sopracciglio sollevato e le lacrime agli occhi indicò versò il basso ventre, attendendo però la reazione e sperando di non aver frainteso tutto. Giulia d’altro canto rispose con un cenno di assenso ed un sorriso, facendo intendere a Valeria di poter proseguire oltre.
    «Brava la mia leonessa.. Te lo sei meritato. Fallo, per me, ora, sotto il mio sguardo, e dopo aver ottenuto il mio consenso. Fallo dolce leonessa, e ricorda che tutto ciò che fai per me, lo stai facendo anche per te..».
    In un attimo, Valeria deglutì, fece scivolare la sua mani sotto la tuta, sotto gli slip, dentro di se. Al solo tocco del clitoride partirono un susseguirsi di scosse elettriche. Non si oppose, non voleva farlo. Le scosse la fecero tremare tutta, le arrivarono al cervello, ne fu invasa nonostante la scomoda posizione del sedile dell’auto; raramente aveva fatto ricorso alla masturbazione nella sua vita, non ne aveva mai avuto bisogno (o forse non era mai stata portata a quel livello di eccitazione mentale e fisica), ma questa volta ne sentiva la necessità. Si aggrappò con una mano al volante, inarcò la schiena, serrò i glutei e strinse con tutta la forza che aveva in corpo il clitoride. Chiuse gli occhi, urlò come non mai, un urlo disperato, soffocato, strozzato dai gemiti, ma liberatorio.
    E Non appena fu in grado di riaprire gli occhi, li vide. Vide le piante dei piedi di Giulia, che nel frattempo aveva sollevato anche l’altro piede, posandoli entrambi delicatamente sul volante.
    Fino a qualche giorno prima forse non avrebbe saputo cosa fare in quella situazione da li in poi, ma adesso.. adesso sapeva. Quando tocchi il cielo con un dito per la felicità e le emozioni provate, quando ti si indica la strada per il paradiso, è difficile poter tornare indietro. E così Valeria, con la consapevolezza di non poter più tornare indietro, fece l’unica cosa sensata che le venne in mente: si accasciò sul volante, baciando e leccando, quasi divorando quei piedi, così morbidi e sinuosi, liberandosi in un pianto estremo, che quasi le fece provare un nuovo orgasmo.
    Il suono delle risate di Giulia cominciò a diffondersi riempiendo l’abitacolo dell’auto, caldo e tagliente allo stesso tempo. Sedeva rilassata sul sedile passeggero, i piedi nudi adagiati sul volante come se quel gesto fosse naturale quanto respirare. Con un’eleganza quasi crudele, lasciava che Valeria potesse adorarla, assaporando ogni centimetro del suo corpo con lo sguardo e il tocco. Nel frattempo, si muoveva lenta su se stessa, divaricando leggermente le gambe, toccandosi con una sicurezza che trasudava potere. L’orgasmo la raggiunse in un crescendo controllato, dolce e lucido, come se lo avesse disegnato istante per istante. Diverso da quello di Valeria — più feroce, più disperato — ma non per questo meno intenso. Anzi, la sua consapevolezza lo rendeva ancora più avvolgente, più inesorabile, lasciando nell’aria il sapore di una vittoria silenziosa.

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