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Il Silenzio nei tuoi piedi
CAPITOLO 1 – “Sotto i tuoi piedi”
Valeria era una leggenda nella sua palestra. Non solo per i suoi 1,82 per 80 chili di muscoli scolpiti, per le braccia come colonne, la 4^di seno prosperosa sotto i pettorali duri come il marmo o gli addominali di granito. Era l’aura che si portava addosso: chi entrava nella sala pesi la guardava di sfuggita, per istinto. Per rispetto.
Con gli uomini si divertiva, con le donne comandava. Godeva nel trattare male tutti, perchè in fondo nessuno era alla sua altezza, capace di eguagliare la possenza fisica. Le persone erano il suo giocattolo, lei che di giocattoli non ne aveva mai avuti. Sempre lei a scegliere: il ritmo, le regole, i confini.Ma dietro quella forza c’era altro. La figlia di un padre assente e una madre inflessibile, Valeria aveva imparato a non cedere. Mai. A proteggersi dentro il dominio. L’amore, per lei, era un gioco a perdere.
Poi arrivò Giulia.
Ventidue anni, studentessa di filosofia. Una mora dagli occhi chiari, di una bellezza calma, quasi trasparente. L’aveva notata in biblioteca, seduta per terra tra gli scaffali, le gambe piegate, un manuale di anatomia aperto sulle ginocchia. Valeria si era avvicinata quasi per scherzo.
«Stai cercando il punto debole del corpo umano?»
Giulia alzò appena lo sguardo. Un sorriso appena accennato.
«No. Solo quello che lo rivela tutto.»Quella frase le restò addosso per giorni.
Cominciarono a vedersi. Un caffè, una passeggiata, una cena. Ma Giulia non era come le altre. Non si lasciava mai guidare davvero. Parlava con calma, con un tono che pareva fragile ma non lo era: ogni parola era un colpo preciso. E Valeria, che era abituata a possedere, si ritrovava a desiderare l’approvazione.
Fu una sera, quasi per caso. O almeno così sembrò.
Erano a casa di Valeria. Giulia si tolse lentamente i sandali. I suoi piedi nudi toccarono il pavimento, e Valeria — che era seduta sul divano — li vide per la prima volta da vicino.
Erano piccoli ma dalle piante larghe, forti ma aggraziati. La pelle era chiara, candida come porcellana non toccata dal sole, liscia, senza imperfezioni. Le dita affusolate, dalle unghie corte e smaltate di rosso scuro, si muovevano con grazia naturale. I talloni, leggermente rosati, sembravano morbidi come velluto.Giulia si sedette accanto a lei. Poi, con naturalezza, sollevò i piedi e li poggiò sulle sue cosce.
Valeria rimase immobile. Colta di sorpresa.
Il cuore accelerò senza motivo apparente.«Ti dà fastidio?» chiese Giulia, la voce calma, ma con un accenno di sfida.
Valeria scosse la testa.
«No… solo non me l’aspettavo.»Giulia sorrise.
«Io sì.»Un silenzio colmo di tensione. Poi Giulia piegò leggermente un piede, sfiorando con l’arco plantare l’interno coscia di Valeria.
«Allora…?»
Valeria deglutì. Guardava quei piedi come fossero un enigma sacro.
«Sono belli,» sussurrò.Giulia inclinò la testa.
«Vuoi toccarli?»Le dita di Valeria — mani abituate alla fatica, alla presa — si posarono con rispetto sulle piante larghe e levigate. Erano tiepide, delicate, ma con una forza silenziosa. Ogni curva dell’arco, ogni incavo, sembrava fatto apposta per essere adorato. Il suo pollice scivolò lentamente lungo il bordo esterno, come se stesse esplorando un confine. Il confine del proprio ruolo.
Giulia lo sentì.
Lo vide succedere, dentro gli occhi di lei.«Lo sapevo fin dal primo giorno,» sussurrò. «Appena ti ho vista… ho capito che volevi questo. Essere messa a terra. Sotto qualcosa di più leggero di te. Sotto me.»
Da lì, tutto cambiò.
Col tempo, Giulia rese chiaro il patto non detto. Valeria cominciò a obbedire. A scegliere abiti su suggerimento. Ristoranti. Parole. Ritmi. E ogni sera, tornava lì: davanti a quei piedi che l’avevano rovesciata.
Ogni giorno, Valeria la attendeva. Nuda, inginocchiata, le spalle tese, gli occhi fissi sulla porta. Quando Giulia entrava, si sedeva sul divano, sollevava i piedi e diceva piano:
«Bacia.»Il sesso era magnifico, feroce, totale. Ma ciò che spezzava davvero Valeria era la voce morbida e crudele di Giulia mentre le accarezzava i capelli:
«Guarda dove sei. La leonessa domata. Il tuo posto è lì. Sotto i miei piedi larghi e delicati. Le tue labbra, sul mio tallone. Il tuo cuore… dentro la mia pianta. Eppure… sei felice, vero?”»Valeria non rispondeva. Non serviva. Ogni bacio, ogni tremito della lingua, era già una confessione.
Valeria non rispondeva. Non serviva. Il bacio sul tallone, il tremito mentre le leccava l’arco plantare, erano già una preghiera, una confessione. Una resa. Un’identità: Io non sono più mia. Sono tua.
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